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di rossointoccabile[at]virgilio[punto]it

Sally

 

 

Appaio, è sempre uno shock. Ma questa volta è qualcosa di più.

Il mio intero sistema è bloccato, nessuna tecnologia sembra funzionare.

Questo è un pianeta totalmente alieno.

Sono solo delle macchine, sia ben chiaro, ma è la prima volta che succede da anni.

È completamente spiazzante.

Sono tagliato fuori da una parte dei sensi a cui sono abituato, legato solo alla mia vista naturale per la prima volta dalla prima infanzia.

Vorrei dire di essere preparato a questa cosa, il mio addestramento lo comprende. Ma non è così.

Diamo per scontati i nostri sensi artificiali, i nostri impianti, non meno di quando lo facciamo per i sensi con cui siamo nati. Sono con noi da buona parte della nostra vita.

Per lo meno per me è così. Mi accascio al suolo in preda alla disperazione per non so quanti minuti.

Sono incapace e indifeso per minuti e minuti. Quando inizio a riprendermi, a reagire, non so quanto tempo è passato.

Attorno a me ci sono una decina di ragazzini laceri. Ben tenuti, in realtà, ma con abiti molto usati e molte volte ricuciti. Appartengono ad una società in cui l’abbondanza vera o presunta non viene sbandierata. In cui lo spreco non viene considerato un valore.

Appartengono di certo a un qualche popolo di nomadi, cerco i tratti distintivi per identificarli, memore dei miei tanti viaggi. Sono familiari, ma non ricordano nessuno di quelli che ho incontrato.

Li osservo a lungo, mentre ridacchiano guardandomi, poi i singoli caratteri si riuniscono, lo shock è anche più violento che al mio arrivo.

Questo è il mio popolo, che all’origine dei tempi già migrava fra i mondi ed è così vecchio e disperso da essere difficile da incontrare.

Piccoli del mio popolo, in un mondo così alieno che mi sento spiazzato.

Poi capisco. In questo mondo quello che mi spiazza di più è che i miei sensi sono più potenti, non solo che le macchine che ho nel corpo non funzionano più.

È un mondo ricolmo di magia.

Un mondo ricolmo di magia, in cui incontro piccoli del mio popolo che in alcuni mondi hanno chiamato elfi, in altri eldar o gli alti o eldren, ma in quasi ogni mondo sono stati cacciati e combattuti.

 

La vita con loro è placida e piacevole. Vengo accettato, seppur con un po’ di diffidenza. Sono uno di loro che viene da una comunità completamente diversa. Ho altri costumi, altre abitudini, sono meno tribale e non conosco le più elementari pratiche della vita selvaggia.

Anni di addestramento che se ne vanno al creatore perché mi mancano delle memorie computerizzate.

Milioni di terabyte di informazioni del tutto inapplicabili su questo mondo.

Sono pure un mago mediocre. Potente ma mediocre. È piacevole che qualcuno si prenda cura della mia potenza e della mia istruzione.

Sally è così giovane eppure conosce la magia così tanto più di me.

Certo, più che altro una magia naturale, volta al piacere e alla cura, ma la tecnica è più o meno la stessa.

Quello che cambia sono le energie, gli incantesimi e le forze con cui venire a patti.

Poi sono forte, posso portare molti secchi d’acqua al giorno dal fiume.

Insomma anche io servo a qualcosa in una comunità come questa.

Rientro. Il lavoro del campo è costante. C'è sempre qualcosa da fare, qualcosa da riparare. Qualcosa da far crescere.

La vita di queste comunità è dura e il lavoro è incessante. Però tutto si fa con una sorta di gioia. Una gioia violenta e selvaggia come la vita che facciamo.

Non me ne andrò mai da qui. Non so neppure se il sistema registra il mio diario.

 

Ho fatto un casino.

Le società della sussistenza hanno ampi spazi di inclusione ma anche grandi spazi di esclusione.

Non dovevo flirtare. Non dovevo, io me ne andrò e anche se non me ne andrò sarò comunque sempre uno straniero ovunque.

Non importa se questa è la mia gente.

Il DNA non ha mai fatto società. Mai.

Siamo fuggiti e ci siamo separati. Ho fatto un casino.

Ci siamo battuti per lei e lui è morto.

Ho fatto di tutto per non battermi. Ho anche cercato di andarmene senza combattere.

Ho fatto un casino e adesso io e lei siamo dei senzacasta. Dei fuggitivi. Separati.

Ma lui è morto.

Era il mio amico e io l'ho tradito. Superficialità. E una profonda stupidità.

Sto in giro e in pericolo

Mi lavo nel fiume. Mi lavo dal sangue.

Guardo il viso affilato che mi fissa dalla superficie dell'acqua.

È uno sguardo alieno. Un assassino.

Non lo riconosco.

Non devi giocare nel bosco. È un vecchio monito, che oggi assume tutto un altro significato.

 

Corro. Mi nascondo.

Certamente mi cercano.

Siamo separati, sfrutto la mia forza e il mio addestramento, il mio maledetto addestramento a combattere, per lasciare tracce. È difficile che seguano anche lei. Lei in fondo non ha colpe, anche se l’hanno cacciata lo stesso.

Ma voglio che seguano me.

Corro nel bosco, mi nutro di ciò che trovo e posso riconoscere.

Per fortuna ogni tanto mi ricordo di controllare nella mia borsa, trovo sempre un po’ di cibo conservato. Chissà quando l’ho messo dentro. Non ricordo. Ma c’è.

Devo rileggere alcune cose dal libricino che mi ha dato Loki. Ma devo cercare, chiedere. Mi serve di capire dei termini che non conosco.

Corro attraverso il bosco lasciando tracce. Mangio cibo di cui non ricordo la provenienza preso da una borsa magica e maledico un po’ tutto, la mia avventatezza, la mia superficialità, il mio addestramento.

Lui doveva lasciarmi una possibilità di fuggire, per il resto è colpa mia. Tutta colpa mia.

Sono un assassino. Stupido e disperato assassino.

 

Arrivo al mare. Adesso mi seguiranno più facilmente. Una lunga spiaggia che continua fin dove arriva lo sguardo.

Non ho sistemi per attraversarlo. Né barche né porti in vista.

Corro, non mi resta altro da fare. Correre e lasciare tracce sulla spiaggia.

 

Non era poi così lunga. Sono arrivato a una città.

Oddio, città. Ma è il centro abitato più grande che vedo da mesi, si fa presto a trovarsi in città dopo aver vissuto per mesi in un accampamento di nomadi nel bosco.

È un piccolo centro, sporco e trascurato, per i miei standard.

Ma è un insediamento del mio popolo. Non ci sono scoli per strada, tutto lascia intuire che ci sia uno straccio di fognatura e le immondizie sono per lo più scarti di cibo, pochi, e deiezioni animali.

Poche e ammucchiate da operai anche esse.

Ci sono alcuni aspetti della società, però, che mi fanno pensare che non sia vero che qui la tecnologia non funziona.

Ci sono macchine. La meccanica è più o meno come la conosco.

Del resto armi metalliche e archi funzionano.

La polvere da sparo no, non so perché, ma la combustione esiste. Cuciniamo col fuoco.

Poco e niente ferro o acciaio, ma leghe anche più resistenti in abbondanza.

Qui è più evidente. Questa è una società complessa e per molti versi aliena, formata da un popolo non del tutto umano in un mondo che ha leggi fisiche diverse da quelle a cui sono abituato.

Non ho il denaro per comprare un passaggio oltre il mare.

Tutto ciò che posso permettermi è un pasto frugale e un pesciolino vivo, dorato e cieco.

Mi avvio col mio bottino fuori dal paese, torno sulla spiaggia.

L’incantesimo è abbastanza elementare. Quanto meno alla mia portata, il che più o meno vuol dire la stessa cosa.

Non è una trasmutazione vera e propria, è molto simile al processo con cui gli dei ci cavalcano. Non criticate. Gli dei sono creature più elementari di quanto si creda, anche per questo riescono a maneggiare così tanto potere.

Fatto sta che cavalco il pesce e mi avventuro in mare aperto.

È una sensazione straordinaria di libertà estrema.

Ed è pericoloso. Un pesciolino d’oro solitario in mare aperto.

Il rischio più grande non è neppure quello di venir divorati. È quello di perdersi nell’estasi del nuoto e non voler più tornare indietro.

Perché non diventare per sempre un pesce, libero e spensierato, invece che tornare ad essere un assassino in fuga?

 

Ma no. Alla fine, non so neppure io dopo quanto tempo, arrivo a riva.

Mi stavo davvero perdendo, sono stato un pesce ed ho attraversato il mare.

Quando smonto il pesciolino d’oro se ne va. Il dio che l’ha cavalcato ha guarito la sua infermità.

Anche se non era un dio, ma un mago, neppure molto potente.

E un assassino.

È una magia forte e dura, sono sorpreso degli effetti.

Chirone me lo diceva. Puoi fare molto più di ciò che credi.

Tipo uccidere i miei amici.

Sono esausto. È notte. Barcollo fino a una baracca in riva al mare e cado in un sonno profondo.

Non so neppure se ho barricato la porta.

Questo mondo mi permette molto ma si prende molto da me.

Dovevo studiare di più.

 

Non avevo sbarrato la porta. È evidente.

Mi sveglio con una donna addormentata contro di me.

Dorme profondamente ma i miei sensi potenziati sentono anche altro nel suo sudore, per altro è da molto che non si lava.

Eroina o qualche altro oppiaceo. Del resto bastava vedere le sue braccia.

Mi alzo e guardo in giro.

La baracca non è proprio una baracca. È arredata poveramente e con un certo gusto.

C’è un fornello, funzionante. Anche un po’ di cibo. Qualche uovo. Burro, poco e un po’ vecchio, ma commestibile.

Guardo nella borsa e vengono fuori un cartone di latte e un paio di bei tocchi di pancetta.

Rimetto a posto il burro e butto la pancetta in una padella.

Mi piace quest’uso della borsa, di certo più di quanto mi piaccia trovarci dentro delle armi.

Si sveglia non appena la pancetta inizia a sfrigolare con un sorriso che non è dovuto solo alla droga.

Ho una missione, che non sarà una missione da assassino.

Speriamo che non sarà una missione da assassino.

 

Viviamo assieme da quasi un mese, ormai.

Capisco, da come mi guarda che considera incredibile che io non ci abbai mai provato.

Non credo che le sia mai successo che qualcuno si sia comportato così con lei.

Si sta disintossicando. Un po’ ci prova, un po’ è frutto dei poteri che uso. Lo ammetto. I poteri e la straordinaria quantità di erbe che crescono qua attorno.

È incredibile che in un mondo così pieno di magia la gente faccia una vita così meschina.

Potrebbero avere tutto ciò che vogliono.

 

Ieri mattina è venuto uno dei suoi spacciatori. Voleva farle prendere per forza della droga.

Dobbiamo andarcene di qui.

Quando lui ricomincerà a camminare potrebbe tornare per farle del male.

Dovrei cercare il suo capo e risolvere la cosa alla fonte.

 

Sono tornato tardi dal mio giro di pattuglia.

Non ho trovato il capo, né ho trovato lei in casa, ma c’erano segni di lotta.

Mi sono precipitato fuori per inseguirli.

Era poco lontana.

Un coltello in mezzo ai seni.

La mia Pilar del mare, morta. È colpa mia anche questa volta.

Poco più in la una quercia, sporca del suo sangue. L’assassino, l’esecutore, si è pulito la mano sulla corteccia.

Mi mostra la direzione in cui è fuggito.

Mi da un odore da seguire.

Ho una nuova missione. Una missione di sangue.

Uno stagno. Si è lavato

Dallo specchio d’acqua rigato del sangue della mia amica mi guarda lo sguardo di un assassino. Adesso lo riconosco.

Sono un assassino, che almeno sia utile. Farò quello che mi riesce meglio. L’assassino cerca l’assassino.

 

Ora so perché questo mondo così carico di magia è così meschino.

Cercando le tracce del mio nemico sono arrivato sotto a un ponte.

Tra la sporcizia sta annidato un grosso topo antropomorfo.

Vestito con stile.

Il vestito ha macchie di sangue, il topo si annusa, cercando di capire come togliere le macchie.

Sulla testa porta una corona, sulla corona una Gemma. Semplice, ovale, arancione.

Divento avventato. La rabbia mi frega.

Mentre lui se ne sta acquattato sul suo trono ad annusarsi, sulla strada le sue bambole bruciavano copertoni.

Una rete di prostitute. Fra di esse c’è anche la mia Sally.

Che pessima occasione per riunirsi.

Scatto. Balzo sul re dei topi.

Parla. Desideri ad attivazione vocale.

Un ottimo sistema per fare un uso parziale della Gemma della Realtà da parte di una mente limitata e senza il supporto delle altre Gemme.

Altri modi, del resto, rischiano di divenire devastanti. Neppure i più saggi conoscono tutti gli esiti possibili di una singola azione.

Sul mio polso compare un braccialetto.

Sono immobile e non ho più alcun controllo sul mio corpo.

Solo ora noto che tutte e tutti indossano un bracciale identico.

Le sue bambole sono davvero bambole.

Siamo bambole.

- Sei molto bello, farò molti soldi col tuo corpo. –

La sua voce è orribile da sentirsi.

- Ma non sia mai detto che io non provi per primo la merce. -

Mi bacia sulla bocca, cerco di svincolarmi. Sfioro con la fronte la corona.

Smetto di resistere, la sua costrizione si fa leggermente meno forte. Sfioro la Gemma, il braccialetto cade.

La sua gola si apre da parte a parte, le corde vocali tranciate non possono formulare alcun desiderio.

La corona cade con una manata, non riesco a trattenerla, mi sfugge e cade a terra.

Lui si tiene la gola con una mano e cerca di saltare sulla Gemma.

Lo colpisco con un calcio mentre cerco di rialzarmi.

La Gemma della Realtà riuscirebbe a risolvere il mio problema, se usata con attenzione.

Lui rantola, gli ultimi spasmi prima della morte ed io sento una nausea tremenda. Prima di porre la mano sulla Gemma svanisco.

La raccoglierà qualcuna delle sue bambole. Speriamo che ne faccia un uso migliore.

 

Mentre salto tutte le mie macchine si riattivano e vengo sommerso da una ondata di consapevolezza. Leggo le macchine che avevi lasciato.

Eri stata qui, forse eri ancora qui e ti ho perduta ancora.